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Immagine del redattoreElena Cornelli

Siamo tutti serial killer?

Un viaggio nella mente umana per scoprire se esiste il cervello violento o se ciascuno di noi può diventare un criminale.


Per rispondere a questa domanda è interessante partire da un esperimento pratico che ciascuno di noi può effettuare stando comodamente seduto di fronte alla tv, allo schermo di un pc o a quello di uno smartphone. Osservare con attenzione i programmi proposti, le notizie in prima pagina o i siti internet, è una cartina tornasole per evidenziare come il mondo dell’informazione sia ricco di notizie riguardanti la

violenza e la malvagità, tematiche proposte e riproposte in continuazione, reiterate nel tempo anche senza aggiornamenti degni di nota.

Eppure questo genere di contenuti, ottiene grande interesse da parte dell’opinione pubblica e registra share altissimi, like numerosi e visualizzazioni in crescita. La violenza interessa la natura umana. La violenza in tutte le sue forme. Il male da sempre attrae l’uomo e allo stesso tempo lo allontana da sé per il timore di ciò che si potrebbe diventare. Trovare un colpevole negli altri, solleva ciascuno dal diventarlo.

Ma la violenza e il male che attanagliano la mente non hanno confini così netti, ragioni per cui si scatenano in modo definito e definibile e pertanto non è possibile esorcizzare il male sentendosi protetti da esso, solamente perché lo si vede in qualcun altro.


Anche se è difficile accettarlo, la mente non è totalmente controllabile, parte di ciò che muove i nostri pensieri non è spiegabile solo attraverso la ragione, ma richiede ingredienti molto più complessi e miscelati tra di loro per giungere a una spiegazione esaustiva.

Per questo motivo, le neuroscienze si interessano sempre più allo studio del cervello umano, analizzandolo attraverso la neuroimaging ma anche sondando in profondità il funzionamento della corteccia cerebrale, così da comprendere ciò che rende un cervello violento.

Negli anni, sono state effettuate diverse analisi sui cervelli dei serial killer, per vederne l’attivazione cerebrale e capire se esiste un collegamento tra danni cerebrali e la possibilità di trasformare un cervello sano in un cervello dedito alla violenza. Gli studi di Adrian Raine, quelli di James Fallon solo per citare alcuni specialisti che si occupano di questo argomento, hanno rivelato che esistono relazioni molto forti tra i danni cerebrali e la commissione di gravi reati che si spingono fino all’omicidio.


Si è scoperto che diverse strutture cerebrali come il talamo, l’ipotalamo, l’ippocampo, l’amigdala, il sistema limbico, hanno un ruolo rilevante nel manifestarsi di condotte violente.

In particolar modo è stato evidenziato che il lobo frontale, nel quale risiedono la corteccia motoria primaria e secondaria che si occupano della pianificazione ed esecuzione dei movimenti, l’area di Broca deputata alla produzione e comprensione del linguaggio è caratterizzata anche dalla presenza della corteccia prefrontale, sede delle funzioni esecutive come strategie, pianificazione, controllo delle emozioni, attenzione, concentrazione e autocontrollo degli impulsi.

Pertanto la corteccia prefrontale è da considerarsi come la guida dei pensieri e delle azioni dell’uomo, la voce che permette ad esso di prendere decisioni razionali su quelle impulsive. Danni cerebrali ad essa ed in particolar modo alla parte orbitofrontale, possono causare trasformazioni così significative nel funzionamento del cervello umano, da portarlo a compiere crimini efferati fino ad arrivare all’omicidio.


Il soggetto con lesioni orbitofrontali, può avere difficoltà nella gestione della vita quotidiana, deficit nella regolazione dei comportamenti e manifestare emozioni che possono essere non congrue alle situazioni che si stanno vivendo. Alcuni individui diventano incapaci di fare scelte appropriate alle circostanze e di adottare comportamenti adattivi nel rispetto delle norme sociali. Viene a mancare il normale controllo delle azioni impulsive e il soggetto può manifestare comportamenti assurdi e bizzarri fino ad azioni antisociali e illegali. In molti casi, si può arrivare a perdere il contatto con la realtà ed a compiere gesti irresponsabili senza valutare fino in fondo la gravità delle proprie azioni.


Non serve andare tanto a ritroso nel tempo della storia della criminologia per trovare esempi di persone che hanno visto trascorrere la loro vita nella tranquillità della quotidianità, fino a quando un trauma, un incidente o una malattia cerebrale, ha trasformato la loro personalità, facendoli diventare spietati serial killer.

Leggendo queste considerazioni sembra che la domanda da cui siamo partiti, abbia già trovato la sua risposta. Non siamo tutti serial killer perché lo diventano solamente coloro che hanno subito una lesione cerebrale. Un sospiro di sollievo e caso chiuso come direbbero gli uomini di legge. Ma le cose non stanno esattamente così e la risposta non può essere liquidata solamente con queste considerazioni.

Esistono infatti altrettanti casi di serial killer che non hanno subito alcuna lesione cerebrale eppure hanno commesso crimini tremendi e collezionato molte vittime. Menti lucide, ben organizzate e puntuali in tutte le loro azioni.


Randy Kraft vs Antonio Bustamante



Come è possibile leggere nella breve sintesi sopra riportata, Bustamante è il perfetto criminale, con esperienza di droga, furto, segnalazioni. Una parabola ascendente verso reati sempre più gravi fino ad arrivare all’omicidio.

In realtà lo scanning del suo cervello ha evidenziato delle lesioni alla corteccia prefrontale causate dall’incidente avvenuto quando aveva 20 anni. Questo tipo di trauma procura incapacità di controllare gli impulsi e di prendere decisioni ragionate e pianificate.

Bustamente può essere definito un aggressivo “reattivo”, un uomo dalla testa calda, guidato dalla rabbia profonda, emozione che viene gestita al di sotto della corteccia cerebrale e che vede chiamato in causa il sistema limbico. In particolar modo l’amigdala incendia le emozioni, l’ippocampo modula e regola l’aggressione e attiva l’attacco predatorio, il talamo collega le aree emozionali limbiche e le zone corticali.

Nella testa di Bustamante la rabbia ribolle con facilità e la mancanza di risorse prefrontali adeguate ad esprimere la tensione emotiva in modo controllato e regolato, gli hanno fatto perdere il controllo generando violenza.

Anche il suo modus operandi rispetta perfettamente questo profilo clinico. La folle rabbia si è scatenata in modo rapido e una volta esaurita ha lasciato un killer incapace di gestire la scena del crimine. Bustamante è disorganizzato, impacciato, non cancella nessuna traccia e resta con gli abiti insanguinati fino al momento dell’arresto.


Siamo di fronte ad un uomo, le cui lesioni prefrontali hanno probabilmente determinato la sua condotta criminale e violenta. Bustamante non era in grado di fare nulla di diverso da ciò che ha fatto, visto il suo funzionamento cerebrale.

Il caso di Kraft è invece completamente diverso. Ci troviamo di fronte ad un uomo con un QI pari a 129, educato, istruito, con una famiglia attenta e rispettabile. Kraft ha la strada spianata e può ottenere tutto ciò che vuole. Questa sua capacità di ragionare, pianificare ed essere puntuale e meticoloso in ciò che fa, sono la base del suo funzionamento mentale.

Infatti Kraft ha utilizzato le sue risorse mentali per diventare sempre più bravo a non essere colto di sorpresa. Ha rischiato ben due volte di essere scoperto, ma la sua notevole attivazione prefrontale, lo ha aiutato ad imparare dall’esperienza.

Dagli episodi del 1966 e del 1970, Kraft registra ciò che non ha funzionato e la sua corteccia prefrontale attua una strategia adattiva adeguata alle situazioni, così da non rischiare l’arresto. Prima decide di cambiare il tipo di vittima, passando dagli adulti agli adolescenti; poi decide di non lasciare in vita nessuno perché la fuga del tredicenne che ha adescato e violentato, gli ha procurato alcuni grattacapi che vuole evitare.

Kraft è un aggressivo “proattivo”, un uomo che non ha alcuna lesione prefrontale e che usa le sue risorse mentali per pianificare attentamente le sue azioni ed imbrogliare le vittime. E’ metodico, razionale, calcolatore, dotato di spiccate capacità di problem solving. Ha uno scopo preciso e pianifica tutto in anticipo. È regolato, controllato e guidato da riconoscimenti esterni e materiali, oppure interni e psicologici.

La sua gestione della rabbia è completamente diversa di quella di Bustamante. Qui ci si trova di fronte ad un soggetto che si sente arrabbiato ma invece di esplodere, brama vendetta.


Quindi siamo tutti serial killer?
La risposta non è semplice ed univoca. Di certo è possibile dichiarare con un buon margine di sicurezza che non siamo tutti serial killer, ma di certo non è nemmeno possibile pensare con leggerezza all’argomento e sdoganarlo dichiarando che i criminali ed i serial killer sono tutte persone “fuori di testa”, “pazzi” o comunque privi di ragione e controllo.

Esistono delle prove scientifiche che dimostrano come lesioni cerebrali o elevate attivazioni della zona prefrontale o alterazioni del sistema limbico portano il soggetto a commettere dei crimini, ma questi aspetti da soli non bastano per rispondere in modo completo alla domanda di partenza.

L’argomento richiede considerazioni che uniscono le neuroscienze, il funzionamento mentale e la psicologia all’ambiente, ai traumi o abusi subiti, al contesto familiare e culturale, alle relazioni del soggetto, agli eventuali disturbi psicopatologici fino ad arrivare alla tanto discussa capacità di intendere e di volere.

Solo unendo tutti questi tasselli è possibile delineare un quadro del funzionamento di personalità di un individuo e capire se ci si trova di fronte ad un cervello violento.



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